Lavoro, dunque valgo

di Vincenzo Moretti
Il lavoro come dignità, come rispetto, come cultura materiale, come voglia di fare le cose
per bene perché è così che si fa, come capacità di tenere assieme, nel processo del fare,
testa e mani.

Vincenzo Moretti societing 2011

da destra: Adam Ardvisson, Alex Giordano, Vincenzo Moretti e Bill Emmot alla giornata conclusiva della Scocieting Summer School 2011

Lavoro “in sé” e lavoro “per se”
Il lavoro di cui racconto io non è il lavoro “in sé”, è il lavoro “per sé”, insomma quello
che cerco io è l’approccio dell’artigiano, quello che ti fa provare soddisfazione nel fare
bene una cosa “a prescindere”, qualunque essa sia, pulire una strada, progettare un
centro direzionale, scrivere l’enciclopedia del dna, cucinare la pasta e fagioli. Sì, sono un
uomo in cerca di una cultura, di una vocazione, di quella “cosa che fai con gioia, come se
avessi il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo”, come disse una volta Josephine Baker.

Si può fare, si fa
Non so se cerco l’impossibile, penso di no. Penso che lo pensa anche Sennett (2008),
altrimenti non avrebbe potuto scrivere che “l’artigiano è la figura rappresentativa di
una specifica condizione umana: quella del mettere un impegno personale nelle cose
che si fanno”. E che lo pensa anche il giovane Renato, altrimenti non avrebbe potuto
raccontare su Timu il suo lavoro di maestro di chitarra con parole come “umiltà”
e “calore”, “l’umiltà con la quale cerchi di trasmettere qualcosa”, “il calore che riesci a
fare quando fai qualcosa”.
Certo che poi è fondamentale l’equilibrio tra contributi e incentivi (Barnard, 1926);
certo che il dirigismo e la competitività senza qualità indeboliscono la motivazione e
rendono tutto più difficile; certo che aiuterebbe la presenza di una classe dirigente con
una visione del futuro che nell’economia come nella politica, in Italia come in Europa,
semplicemente non c’è; certo che questa ricerca del meglio si riferisce all’approccio
perché poi i risultati faranno inevitabilmente i conti con il nostro essere “soggetti
a razionalità limitata” (March, 2002). Rimane il dato di fondo, il bisogno di un
ribaltamento culturale, l’urgenza di spostare l’ago della bussola dal riconoscimento
sociale della ricchezza al riconoscimento sociale del lavoro, dal valore dei soldi al valore
della conoscenza, del sapere, del saper fare.

Fare è pensare
In questi tempi un po’ così si fa fatica a vederlo, ma il lavoro è anche un valore, un
bisogno in sé, uno strumento importante per organizzare la propria vita in un sistema di
relazioni riconosciute, per soddisfare le proprie aspettative di futuro, per contribuire a
creare ricchezza a livello non soltanto economico ma anche sociale.
È attraverso il lavoro, il sapere, il saper fare che, in una pluralità di ambiti e di
circostanze, possiamo cercare di vivere vite più degne di essere vissute. Si, secondo me
ha ragione Sennett, fare è pensare. In fondo, solo se ci pensi puoi amare veramente ciò
che fai.

Categorie: Contributor | 2 commenti

Navigazione articolo

2 pensieri su “Lavoro, dunque valgo

  1. Pingback: 29-30 giugno OpenBosco: a rural way for social innovation | Societing

  2. Sono d’accordo su tutto e invio i miei commossi complimenti

Lascia un commento

Crea un sito o un blog gratuito su WordPress.com.